Andrea Camilleri - Il casellante

"Camilleri è il cronista - sottolinea S. S. Nigro - il favolista e il mitografo della comunità vigatese. Racconta di Minica e di suo marito. Della loro modesta vita nella solitaria casetta gialla, accanto a un pozzo e a un ulivo saraceno: in un paesaggio arcigno, blandito dal vicino mare e dalla luce". Siamo in Sicilia, tra Vigata e Castelvetrano negli ultimi anni del fascismo. Lungo la linea ferroviaria che collega i paesi della costa fare il casellante è un privilegio non da poco: una casa, il pozzo, uno stipendio sicuro, ma la zona, alla vigilia dello sbarco alleato, si va animando di un via vai di militari e i fascisti, quasi presagendo la fine imminente, si fanno più sfrontati. A Nino Zarcuto, "trentino, beddro picciotto" è toccato un casello stretto tra la spiaggia e la linea ferrata. Si è sposato con Minica e aspettano, finalmente, un figlio. Il lavoro è poco, quindi c'è tempo per l'orto e per andare ogni tanto in paese dove Nino, appassionato di mandolino, può anche dilettarsi con l'amico Totò in qualche serenata improvvisata. Poi una notte, mentre Nino è in carcere, colpevole di avere ridotto le canzoni fasciste a marce e mazurche con chitarra e mandolino, un evento sconvolgente travolge la vita di Minica. Un romanzo in cui mito e storia si intrecciano in quello che Camilleri definisce il secondo romanzo - dopo "Maruzza Musumeci" di una "trilogia della metamorfosi".
Sulla linea a scartamento ridotto delle Ferrovie dello Stato che costeggia il mare a sud di Porto Empedocle passano solo due treni al giorno, quello che va da Vigàta a Castelvetrano e l’altro che fa il percorso inverso. I due treni si incrociano ogni giorno a Sicudiana, ed è lì, stretto tra la campagna e la spiaggia, schiacciato sul binario, che sta il casello di Nino Zarcuto. La casa è piccola, la cucina al piano terra e la camera da letto al piano alto, più un orticello coltivato e il pozzo dell’acqua, ma Minica, la giovane moglie del casellante, la fa brillare come una bomboniera. La vita è semplice in quelle casette di campagna: alzare il passaggio a livello le rare volte che ai treni civili si aggiunge qualche convoglio militare, curare l’orto e gli animali e magari, qualche volta, ci scappa pure una suonata dal barbiere del paese insieme all’amico Totò, uno alla chitarra e l’altro al mandolino, giusto per guadagnare cinque lire.
Ma nel 1942 la vita non è vita in Italia e sulle coste siciliane, c’è la guerra, gli alleati bombardano, il Genio civile fortifica, costruisce bunker per avvistare gli aerei nemici, e soprattutto il gerarca fascista, don Ingargiola, controlla che nessuno offenda l’onore del Duce. Un nuovo ordine promana dalla capitale, un ordine che la Sicilia non conosce, abituati come sono i siciliani a obbedire agli uomini d’onore e non all’onore delle divise. È come se la vita si fosse fermata, si fosse arresa di fronte a troppe cose che non può capire: le bombe, i soldati con l’accento italiano, gli aerei che volano sul mare lasciando scie luminose come i fuochi della festa del santo patrono. La violenza bestiale e la miseria nera, le spie, i “quaquaraquà”, non possono entrare nella vita della povera gente come se niente fosse, la sconvolgono piuttosto, la rivoluzionano.
Minica è così, come assente, dopo aver visto con i propri occhi la tragedia. Non vive, si limita a vegetare, addirittura a un certo punto si crede albero e inizia a innaffiarsi i piedi piantati nella terra. Aspetta la metamorfosi, il giorno in cui le spunteranno le radici e inizierà finalmente a dare i suoi frutti. Una trasformazione come quella che raccontavano gli antichi, come quella di Niobe che diventa sasso, o Dafne che assume le sembianze di un cespuglio di alloro, una metamorfosi che Nino segue con pazienza e amore, e che alla fine i suoi frutti li darà veramente.
Una storia commovente, carica di magia e di suggestioni, piena della leggerezza dei sentimenti genuini ma anche di profonde considerazioni legate ad un mondo perduto. Una suggestione che si riverbera nelle parole usate da Camilleri, una lingua antica eppure viva, un dialetto così estraneo eppure così comprensibile, che rimanda suoni, pensieri, colori legati alla casa di ognuno di noi. Il maestro siciliano ci regala una nuova favola in grado di attraversare i confini del tempo, coinvolgendoci in una storia che lascia i panni della vicenda per assurgere al ruolo di parabola universale.

Fonte: IBS
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